La formazione gioca un ruolo chiave nella nostra vita, permette infatti di costruire nel tempo, la capacità di affrontare i cambiamenti, superare le avversità e progredire, uscendo rafforzati dalle difficoltà. Può giocare un ruolo determinante, in particolare, nel pieno periodo di crescita dei giovani.
"La formazione – specifica al riguardo, la Psicoanalista e Psichiatra della Società Psicoanalitica Italiana Adelia Lucattini – non è solo un intervento psicologico che mira a ricostruire la fiducia, ma è un vero e proprio trasferimento di conoscenze, autonomia e capacità progettuale dei giovani, trasformando l'ambiente educativo in un luogo propulsivo di crescita e di cambiamento per l'intera comunità".
Dunque, Formazione e Cultura possono aiutare i giovani in una società sempre più competitiva? Quanto è importante al riguardo, l'intervento e il coinvolgimento della famiglia? Cosa si intende per "povertà educativa"? E chi è ad esserne più colpito? Quali sono le conseguenze psicologiche? Di questo e molto altro, ne parliamo oggi in questa intervista con Adelia Lucattini.
Dott.ssa Lucattini, perché ritiene sia importante che i giovani investano il proprio tempo in cultura e formazione?
Investire in cultura, conoscenza o esperienze formative significa offrire libertà e possibilità di crescita. È un investimento nel futuro e un atto di fiducia nelle potenzialità dell'altro.
Dal punto di vista psicoanalitico, il dono formativo è un atto generativo: non si limita a fornire un oggetto, ma comunica un messaggio profondo: "Credo in te, credo nel tuo potenziale". Il sapere condiviso diventa un nutrimento simbolico che rafforza l'autostima e apre alla trasformazione personale come descritto e approfondito anche nello studio
scientifico Educational Psychology Review, 2025.
Accanto all'insegnamento tradizionale, i progetti complementari come la musica, il teatro, l'arte, la scrittura creativa, la danza, il cinema e le attività sportive hanno un ruolo insostituibile.
Queste esperienze attivano la creatività, favoriscono la cooperazione e sviluppano la capacità di espressione emotiva. Sono spazi dove la mente può muoversi liberamente e dove anche chi incontra difficoltà cognitive o linguistiche può trovare una forma simbolica di partecipazione.
La scuola è un vero e proprio "spazio mentale collettivo" in cui le funzioni materna e paterna possono integrarsi: la funzione materna accoglie, contiene, rassicura; la funzione paterna introduce la regola, la responsabilità, il limite. In questo senso, la scuola non è solo un luogo di formazione intellettuale e culturale, ma un laboratorio di crescita psichica e affettiva, dove il pensiero prende forma e dove ciascun bambino può costruire la fiducia nel proprio valore e nelle proprie capacità (International Journal of Psychoanalysis and Education, 2025).
Quanto è importante al riguardo, l'intervento e il coinvolgimento della famiglia?
Nel contesto familiare, condividere la cultura ha un valore affettivo e simbolico profondo. I genitori sono i primi mediatori del sapere: attraverso l'esempio, mostrano che imparare è un piacere, non un obbligo.
Un genitore che legge, che ascolta musica, che si interessa, che guarda con curiosità il mondo trasmette ai figli il desiderio di conoscere. È il "piacere di pensare" che si trasmette, non le semplici informazioni. La famiglia allargata, (i nonni, gli zii, gli amici cari), può diventare una comunità educativa che sostiene e incoraggia la curiosità dei bambini. Raccontare storie, condividere esperienze culturali, visitare mostre o partecipare a spettacoli teatrali insieme, crea legami affettivi che rafforzano l'autostima e la fiducia nel mondo. Il "dono" formativo è un atto generativo: non si limita a fornire un oggetto o un sapere, ma trasmette il senso di continuità tra le generazioni. Questo tipo di dono nutre la mente e aiuta a costruire un Sé stabile, capace di apprendere, di desiderare e di immaginare.
Un altro aspetto cruciale riguarda il rapporto con la tecnologia. Offrire ai bambini esperienze concrete anziché virtuali, creative e interattive come suonare uno strumento, disegnare, leggere, cucinare, praticare sport, aiuta a combattere la seduzione passiva degli schermi e degli smartphone.
È un invito a vivere, a pensare, a crescere, a desiderare. È il modo più profondo di trasmettere la fiducia nella vita e nel futuro (Child Development Perspectives, 2025).
Quale ruolo, invece, può giocare la Scuola?
La scuola è il principale presidio contro la povertà educativa, perché non solo insegna, ma forma, orienta e cura. È il luogo dove i bambini e gli adolescenti possono scoprire il mondo e sé stessi, dove il sapere diventa esperienza e il pensiero si costruisce attraverso il confronto con gli altri.
Oltre a fornire competenze, la scuola offre un ambiente di appartenenza e di riconoscimento, che spesso supplisce a mancanze affettive e sociali.
Il rapporto scuola–famiglia è un altro pilastro fondamentale nella lotta alla povertà educativa. Quando i genitori e gli insegnanti collaborano in modo costruttivo, il bambino si sente sostenuto da un'alleanza educativa che rafforza la continuità emotiva tra casa e scuola.
Un dialogo aperto e rispettoso tra queste due realtà permette di riconoscere precocemente difficoltà, fragilità o disagi psicologici e di intervenire tempestivamente, prevenendo il rischio di esclusione o di abbandono scolastico.
Quanto è importante l'istruzione per la crescita psicologica dei giovani?
L'istruzione non è soltanto un diritto universale sancito dalle carte internazionali, ma una vera e propria esperienza di emancipazione interiore. Studiare significa imparare a pensare, a comprendere sé stessi e il mondo, a dare un senso alle proprie emozioni e ai propri desideri.
Per i giovani, la scuola rappresenta il primo luogo in cui il pensiero si struttura e si confronta con la realtà. Lì si impara a riflettere, a costruire idee, a sostenere la complessità della vita.
L'istruzione non trasmette solo conoscenze, ma forma la mente: insegna la pazienza, la concentrazione, la tolleranza alla frustrazione e la capacità di trasformare l'errore in apprendimento. Ogni volta che un ragazzo affronta una difficoltà e riesce a superarla, si rafforza la sua autostima e la fiducia nelle proprie risorse interne.
L'apprendimento è un processo mentalmente trasformativo, attraverso lo studio, l'angoscia dell'ignoto viene convertita in curiosità, l'impulso in pensiero, la confusione in significato. Ogni volta che un giovane comprende qualcosa di nuovo, compie un piccolo atto di simbolizzazione: traduce in parole ciò che prima era solo emozione o tensione. In questo senso, studiare è anche un modo per pensare se stessi, per dare ordine al caos interno e costruire una mente capace di resilienza e di riflessione.
La cultura, inoltre, offre ai giovani una bussola simbolica, fornisce modelli, narrazioni, immagini e parole per comprendere la vita e le proprie esperienze affettive. In un'epoca in cui il tempo della riflessione viene spesso sostituito dalla rapidità dei social e dal consumo istantaneo di contenuti, l'istruzione aiuta a ritrovare la profondità, la continuità del pensiero e la capacità di attendere.
L'istruzione, dunque, non è solo un mezzo per ottenere un lavoro o un titolo, ma una forma di libertà mentale e affettiva. Chi studia, chi conosce, chi pensa, diventa capace di scegliere, di creare, di trasformare la realtà. È questa la più profonda forma di emancipazione psicologica che l'apprendimento possa offrire (Developmental Psychology, 2025).
Che cosa si intende esattamente per "povertà educativa"? E chi ne è maggiormente colpito?
Il termine povertà educativa è relativamente recente: si è diffuso a partire dagli anni Duemila (o novanta?), parallelamente all'attenzione crescente verso le disuguaglianze formative nei rapporti dell'UNESCO, dell'UNICEF e dell'OCSE. Tuttavia, le sue radici concettuali risalgono agli anni '60 e '70, quando i pedagogisti e gli psicologi sociali cominciarono a indagare il legame tra povertà materiale, deprivazione culturale e sviluppo cognitivo dei bambini.
Si parla di povertà educativa per descrivere la mancanza di opportunità di apprendimento, di socializzazione e di accesso al sapere. Non riguarda solo la frequenza scolastica, ma tutto ciò che consente al bambino di crescere in modo armonico: la possibilità di leggere, di esplorare, di fare esperienze culturali, di avere adulti che lo incoraggino e lo accompagnino nella scoperta del mondo.
Oggi, il fenomeno colpisce soprattutto bambini e adolescenti provenienti da contesti svantaggiati, famiglie con basso livello d'istruzione, situazioni di disagio economico o sociale, e minoranze linguistiche o etniche. Tuttavia, forme di povertà educativa possono manifestarsi anche in contesti apparentemente benestanti, quando il bambino non riceve stimoli emotivi e culturali adeguati.
La povertà educativa rappresenta una deprivazione simbolica profonda. Il bambino escluso dal sapere è privato dell'accesso al linguaggio come mezzo di pensiero, di comunicazione e di legame. Quando l'esperienza non può essere nominata, resta grezza, priva di significato psichico. Ciò impedisce la trasformazione delle emozioni in pensieri e ostacola la costruzione del Sé (Educational Psychology Review, 2025).
Qual è oggi la dimensione del fenomeno a livello globale?
Secondo il Global Education Monitoring Report 2024 dell'UNESCO, oltre 250 milioni di bambini nel mondo non frequentano la scuola, e milioni di altri, pur essendo iscritti, non raggiungono livelli minimi di competenza nella lettura e nel calcolo. Le disuguaglianze educative sono particolarmente gravi in aree colpite da conflitti armati, povertà estrema o migrazioni forzate, ma si estendono anche ai Paesi industrializzati, dove la dispersione scolastica e il divario digitale creano nuove forme di esclusione.
La mancanza di istruzione non produce solo povertà economica, ma genera povertà psichica e relazionale: un impoverimento delle capacità simboliche e affettive necessarie per comprendere sé stessi e il mondo. L'esclusione educativa costituisce una ferita narcisistica collettiva. Il bambino che non può accedere al sapere vive l'esperienza inconscia di non essere "pensato" dalla comunità, di non esistere come soggetto di valore. La scuola, al contrario, rappresenta uno spazio di riconoscimento simbolico: è il luogo in cui l'essere umano viene introdotto nella cultura e può costruire la propria identità psichica e sociale (International Journal of Educational Development, 2025).
Formazione e cultura possono aiutare i giovani in una società sempre più competitiva?
Sì, senza dubbio. In una società in cui la competizione è spesso presentata come motore di successo, formazione e cultura rappresentano un contrappeso indispensabile, capace di restituire centralità alla persona, alle relazioni e alla cooperazione.
La cultura offre prospettiva e profondità: insegna che il valore individuale non dipende solo dal risultato, ma dal percorso, dalla capacità di comprendere, di collaborare, di contribuire al bene comune.
La formazione, intesa non solo come acquisizione di competenze ma come crescita umana, può insegnare ai giovani a misurarsi con gli altri senza bisogno di annientarli o di sentirsi minacciati. L'apprendimento, infatti, si nutre di scambio, confronto e dialogo.
Quando l'educazione privilegia l'ascolto e la curiosità, invece della sola performance, crea individui più equilibrati e mentalmente flessibili, meno dipendenti dall'approvazione esterna.
La competizione esasperata può essere letta come una difesa narcisistica contro il senso di inadeguatezza. Spesso nasconde l'angoscia di non essere amabili se non si eccelle, e spinge verso modelli di onnipotenza che isolano e impoveriscono emotivamente.
La cooperazione, al contrario, permette di integrare le parti fragili dell'Io e di riconoscere che il valore personale non dipende dal predominio sull'altro, ma dal contributo che si è in grado di offrire.
L'apprendimento cooperativo favorisce l'identificazione positiva e il senso di appartenenza. Nelle dinamiche di gruppo, il giovane scopre che l'altro non è un rivale ma uno specchio, un alleato nel processo di crescita. In questo modo, la formazione diventa anche formazione affettiva, uno spazio in cui si impara a condividere, a fidarsi, a lavorare insieme senza perdere la propria individualità. La cooperazione riattiva la dimensione del "noi", quella in cui l'Io si rafforza non isolandosi, ma relazionandosi. È un processo che trasforma la competitività sterile in energia creativa e generativa.
La cultura, in questo senso, è ciò che permette di tenere insieme differenze e desideri, individualità e appartenenza. È lo spazio in cui la mente collettiva e quella personale si incontrano e si fecondano reciprocamente (Learning, Culture and Social Interaction, 2025).
Educazione e formazione possono contribuire a ridurre anche i fen9meni di violenza?
Sì, in modo profondo e duraturo. L'educazione e la formazione sono strumenti potentissimi di prevenzione della violenza, perché insegnano a pensare, a comprendere le emozioni, a mettersi nei panni dell'altro. La violenza nasce spesso da un'incapacità di pensare e di rappresentare le emozioni.
Quando un bambino o un adolescente non ha strumenti per comprendere la rabbia, la frustrazione o il dolore, tende ad agire impulsivamente, trasformando l'emozione in azione.
L'educazione, invece, consente di dare parola all'esperienza, di tradurre l'impulso in linguaggio, di trasformare l'atto in pensiero. È un processo di sublimazione e di mentalizzazione — due funzioni fondamentali della mente che si apprendono solo all'interno di relazioni educative stabili e affettivamente contenitive.
Dal punto di vista psicoanalitico, la formazione svolge una funzione trasformativa e preventiva: favorisce l'integrazione delle parti aggressive dell'Io e consente di canalizzare l'energia pulsionale verso attività costruttive e simboliche. Attraverso l'apprendimento, i giovani imparano a differire l'azione, a riflettere, a tollerare la frustrazione. In questo senso, il sapere diventa una forma di "cura" della mente, una difesa evolutiva contro l'agito impulsivo. Al tempo stesso, attraverso la comprensione, la cura e l'empatia, rappresentano la funzione materna: accogliente, contenitiva, rassicurante.
La combinazione equilibrata di queste due funzioni psichiche consente ai ragazzi di sentire che le emozioni, anche quelle difficili, possono essere espresse e pensate, senza ricorrere alla violenza.
In una prospettiva più ampia, la cultura e la formazione costruiscono una civiltà del pensiero.
Quando una società investe sull'educazione, riduce la violenza perché aumenta la capacità dei cittadini di comprendere, negoziare, rispettare. L'aggressività, invece di esplodere, viene integrata e resa pensabile: da pulsione cieca diventa energia trasformativa. Educare, dunque, significa insegnare a vivere insieme e a pensare insieme. Là dove c'è pensiero, parola e simbolo, la violenza trova meno spazio (Aggression and Violent Behavior, 2025).
Quali consigli si sente di dare ai genitori?
-Stimolare la curiosità. Trasmettere il piacere di imparare, non l'obbligo di studiare;
-Collaborare con la scuola. Mantenere un dialogo costante tra genitori e insegnanti;
-Valorizzare esperienze culturali. Musei, teatro, musica e sport arricchiscono mente e affetti;
-Limitare l'uso degli schermi. Più esperienze reali, meno tempo digitale;
-Riconoscere i talenti. Sostenere le passioni personali rafforza l'autostima nei figli;
-Dare l'esempio. Un genitore curioso e appassionato educa con il proprio modello. La formazione non è solo un intervento psicologico che mira a ricostruire la fiducia, ma è un vero e proprio trasferimento di conoscenze, autonomia e capacità progettuale dei giovani, trasformando l'ambiente educativo in un luogo propulsivo di crescita e di cambiamento per l'intera comunità.
Marialuisa Roscino
